sabato 2 febbraio 2013

Inverno


Ritorno verso casa, a piedi, attraversando piccole vie nell’aria invernale. Il filo dei pensieri si dipana lungo le pietre del selciato; in realtà non penso ma mi lascio pensare. Mi abbandono spesso a questo falso concentrarmi, appaio assorta ma spengo con gentilezza il corso dei miei pensieri. Riesco così a non sentire la fatica del cammino risvegliandomi all’improvviso di fronte al portone di casa, quasi sorpresa nel ritrovare un luogo amico dopo aver cancellato il percorso fatto. Già nell’androne delle scale mi accoglie odore di famiglia, non certo il sentore di cavolo bollito che la mamma con vena di inguaribile snobismo definiva “di portineria”, ma il calore di scalpiccìo, di cappotti appena usciti dall’armadio, di profumi appena spruzzati che rimangono in aria. Salgo le scale e passo dopo passo conto i gradini, piccola ossessione che ripeto ogni volta, quasi sperando che un giorno aumentino all’improvviso. Entro in casa, il fruscìo del computer di mio figlio adolescente, che schivo accetta il mio bacio di rientro, la corsa di mia figlia e l’abbraccio. Tuffo il viso nell’incavo del collo ed ecco il suo profumo, la sua infanzia mi avvolge e mi commuove. Gli occhi di mio marito mi sorridono dietro il velo della stanchezza della giornata. I grandi amori della mia vita. Vorrei che non esistesse altro. L’immagine della famiglia perfetta si infrange al primo squillo del telefono; la quotidianità mi assedia con i resoconti delle banalità necessarie al corso dell’esistenza. Per quanto faccia e tenti non riesco a lasciare i mostri per strada, sul marciapiede umido del freddo invernale. Abbasso gli occhi stirando le labbra nel solito sorriso ed entro in cucina.
A casa.

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