giovedì 21 febbraio 2013


Sai, a volte tutto ciò di cui hai bisogno 
sono venti secondi di folle coraggio. 
Letteralmente,
solo venti secondi di audacia imbarazzante. 
E ti assicuro che ne verrà fuori qualcosa di grande.
                                                        Benjamin Mee

Quando ho trovato questa frase, ho subito pensato a quante volte avrei potuto scegliere di avere quei venti secondi di follia.
Quante volte avrei potuto fare un atto di audacia e cambiare radicalmente il corso di ciò che mi sarebbe accaduto.
Cosa sarebbe di me se, quel giorno, fossi tornata sui miei passi ed avessi preteso che mi ascoltassero?
Se prima di partire da Londra, e non una settimana dopo nel mio beauty-case, avessi trovato quel biglietto d'amore? Avrei lasciato tutto e tutti, per una vita meno borghese e magari un po' sbandata?
E se quella sera camminando con il suo braccio sulla spalla, al brivido della sua mano sulla mia, avessi deciso di abbandonarmi e baciarlo nonostante tutto?
La nostra vita in fondo è basata su tutti quei momenti in cui decidi di andare verso una o un'altra direzione: una volta deciso probabilmente si dovrebbe rimuovere, e a volte lo facciamo, l'altra opportunità.
A tutto questo ho pensato distesa sul letto ieri sera.
Ai se, ai ma.
A tutti quei congiuntivi mai discussi, né eseguiti.
In fondo i miei venti secondi di audacia imbarazzante li ho scelti io, tanti anni fa, all'imbrunire, su una stradina di campagna, quando decisi di fermarmi, alzare il mio sguardo e lasciarmi baciare per la prima volta.
Venti secondi di folle coraggio.
E poi ti ho preso la mano.











domenica 10 febbraio 2013

Ho generato un guerriero, un giovane guerriero.
Me ne resi conto quando al terzo giorno di vita, relegato in una incubatrice troppo grande per lui, decise di dimostrare a tutti che era perfettamente in grado di decidere: si strappò tutti i tubicini che gli avevano fissato addosso e si girò su sé stesso sfidando il mondo.
Oggi lo osservo camminare in casa con i fissatori esterni alle gambe; ogni ora si alza dal letto e affronta una camminata lungo il corridoio.
Sente male, si capisce, ma cammina, va avanti determinato a fare tutto il possibile per raggiungere il suo traguardo.
Ogni tanto ci guardiamo, i miei occhi incontrano i suoi e non ci lasciamo per qualche manciata di secondi.
Ci parliamo in quei secondi, ci passiamo tutto il bene che possiamo, ci facciamo coraggio; non molleremo, no non lo faremo.
Solo fra madre e figlio ci si può dire così tante cose in pochi istanti.
Ilaria mi ha detto che Giovanni dopo l'operazione ha cambiato sguardo, io invece rivedo gli occhi di quando mano nella mano stava per entrare in aula il suo primo giorno di scuola; rivedo gli stessi occhi di quando l'ho baciato affidandolo ai chirurghi che l'avrebbero operato.
Due occhi intensi, di chi è pronto ad affrontare ogni difficoltà.
Ha lo sguardo di chi è consapevole di quello che ancora deve passare, ma felice di riuscire a vincere.
E' un guerriero il mio giovane figlio, e io ne sono orgogliosa.


sabato 9 febbraio 2013

E' morto il padre dei miei nipoti.
L'amico scanzonato dei miei venti anni.
E' morto.
E il mio cuore si è riempito di tristezza. Di dolore.
Ho rivisto il suo sguardo ieri negli occhi di Duccio.
Ho pianto a lungo ieri, lontana dagli altri. Ho vissuto sulla mia pelle l'arroganza e la meschinità di persone affabulatrici.
Ho sentito il dolore di chi subiva tale meschinità.
Ieri un gesto di arroganza ha cancellato venti anni di vita. Venti anni di amore, di complicità.
Un gesto di arroganza ha mutilato due ragazzi della loro infanzia felice, della serenità.
Un colpo di spugna in favore di una nuova relazione, incuranti di chi era presente prima.
Ignorando i perché della fine di un amore.
E' morto l'amico dei miei venti anni. E' morto il padre dei figli di mia sorella. E' morto.
Spero che non abbia visto, né sentito. Spero che non abbia saputo.
Spero che sia stato già lontano ieri, mentre si consumava questa cattiveria.

sabato 2 febbraio 2013

Inverno


Ritorno verso casa, a piedi, attraversando piccole vie nell’aria invernale. Il filo dei pensieri si dipana lungo le pietre del selciato; in realtà non penso ma mi lascio pensare. Mi abbandono spesso a questo falso concentrarmi, appaio assorta ma spengo con gentilezza il corso dei miei pensieri. Riesco così a non sentire la fatica del cammino risvegliandomi all’improvviso di fronte al portone di casa, quasi sorpresa nel ritrovare un luogo amico dopo aver cancellato il percorso fatto. Già nell’androne delle scale mi accoglie odore di famiglia, non certo il sentore di cavolo bollito che la mamma con vena di inguaribile snobismo definiva “di portineria”, ma il calore di scalpiccìo, di cappotti appena usciti dall’armadio, di profumi appena spruzzati che rimangono in aria. Salgo le scale e passo dopo passo conto i gradini, piccola ossessione che ripeto ogni volta, quasi sperando che un giorno aumentino all’improvviso. Entro in casa, il fruscìo del computer di mio figlio adolescente, che schivo accetta il mio bacio di rientro, la corsa di mia figlia e l’abbraccio. Tuffo il viso nell’incavo del collo ed ecco il suo profumo, la sua infanzia mi avvolge e mi commuove. Gli occhi di mio marito mi sorridono dietro il velo della stanchezza della giornata. I grandi amori della mia vita. Vorrei che non esistesse altro. L’immagine della famiglia perfetta si infrange al primo squillo del telefono; la quotidianità mi assedia con i resoconti delle banalità necessarie al corso dell’esistenza. Per quanto faccia e tenti non riesco a lasciare i mostri per strada, sul marciapiede umido del freddo invernale. Abbasso gli occhi stirando le labbra nel solito sorriso ed entro in cucina.
A casa.